Un
uomo di Samaria
(Lc 10,30-35)
Quando meditiamo una pagina del Vangelo,
rimaniamo spesso perplessi e dubbiosi: è realizzabile
l'invito di Gesù o si tratta di teoria, bella teoria,
destinata a vanificarsi nelle vicende quotidiane? Quante volte
ci è accaduto di pensare che la vita "è un'altra
cosa"! Eppure nella parabola del Samaritano troviamo incarnata
nella vita quella dimensione d'amore che ci viene proposta
dal Vangelo.
1) Che cosa fa il Samaritano che, nella sua giornata di lavoro,
incontra una persona qualunque che ha bisogno d'aiuto? Lo vede,
come tutti gli altri, ma si ferma, si sente partecipe ("ne
ebbe compassione"), gli si fa vicino, gli fascia le ferite,
si prende cura di lui.
Lo svolgersi del racconto chiarisce bene il senso di quel prendersi
cura: non
si tratta di una "buona azione", che può anche costare qualcosa,
ma si esaurisce tutta lì. Prendersi cura dell'altro è la conseguenza
del sentirsi partecipe, del compatire: caricatolo sopra il suo giumento, lo porta
alla locanda, lo affida all'albergatore e promette di ritornare.
Il Samaritano non si comporta come chi ha il problema di tacitare la coscienza
e si chiede in continuazione: "avrò fatto finalmente abbastanza ?".
Non calcola, non misura, fa tutto quello che è necessario perché l'altro
si salvi. Il Samaritano è nella prospettiva del Vangelo.
2) E a noi, che pur tentando di fermarci vicino a chi ha bisogno di aiuto, di
impegnarci in situazioni che sembrano perdenti e disperate, continuiamo a misurare
e a limitare i nostri impulsi di generosità. che cosa dice questa parabola?
Non ci sgomenta un amore così impegnativo, così faticoso, così totalizzante?
Eppure, chi è capace di questo amore?
3) Di questo amore è capace un uomo di Samarìa, uno che, agli occhi
delle persone a cui Gesù parlava, appariva come un individuo spregevole,
non appartenente al popolo eletto, membro, anzi, di un popolo ostile, considerato
meno che niente... un povero insomma.
E allora? La 'povertà' è la via che conduce alla logica del Vangelo:
ci sentiamo spaventati, piccoli, impotenti, mediocri, vigliacchi. E' la nostra
condizione, che dobbiamo riconoscere e accettare con umiltà, ma senza
mai perdere la dimensione dell'attesa nella speranza che Dio susciti in noi un
amore senza calcolo, senza condizioni, senza misure: è il cuore nuovo.
P. Giancarlo Pani s.i.
Cappella dell'Università La Sapienza
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