torna alle lettere dai vescovi
SALUTO
DEL VESCOVO DI ISERNIA - VENAFRO
in occasione del Convegno dell’Associazione
Europea
"Amici di San Rocco" tenutosi ad Capriati a
Volturno nel Maggio 2004
A
San Rocco "Da sempre grandi onori
ed espressioni
immense di devozione autentica"
Carissimi,
l’Associazione Europea "Amici di San Rocco” ha
creato, d'accordo con il parroco ed i fedeli di Capriatì a
Volturno (CE), anche per me una nuova occasione per l'incontro
con questo veneratissimo Santo, a cui i fedeli della mia Diocesi
tributano da sempre grandi onori ed esprimono immensa devozione.
La meta prescelta stavolta, per il gradito incontro è, come
ho detto, la Parrocchia di Capriati a Volturno, la quale è tra
quelle della mia Diocesi che maggiormente si distingue nella celebrazione
del grande Santo. Mi sono domandato molte volte, come faccio anche
in questo momento, le ragioni di tale "simpatia" del
popolo di Dio con il Santo di Montpellier, il quale, come tutti
sanno non appartenne al clero, né alla vita religiosa. Si
distinse unicamente per quella testimonianza di carità che
lo sospingeva a soccorrere i poveri, i malati, i bisognosi che
trovasse sul suo perenne peregrinare. Qui mi pare di individuare
la risposta al quesito. Già, San Rocco è uno degli
esemplari tipici di quella itineranza che, a mio parere, qualificò,
fin dall'inizio la predicazione evangelica. Per San Rocco questa
predicazione consisteva soprattutto in una straordinaria testimonianza
di povertà, di distacco, di semplicità e, soprattutto,
di carità illimitata.
Io vedo nel peregrinare del Santo per vastissime piaghe delta sua
patria e della nostra Italia, come una specie di metafora di quella
inquietudine santa che giustifica nel cristiano, nel discepolo
di Cristo, che non aveva dove posare il capo, quella incontentabilità,
quella insoddisfazione per ogni meta terrena e che sarà placata
per tutti noi, come è per lui ora beato in cielo, dalla
celeste dimora tra i Santi.
Noi facciamo troppo presto ad attaccarci a uomini, luoghi e cose,
spesso dimenticando quell'unica cosa necessaria che è Dio,
la comunione con Lui, la risposta di amore verso di Lui che dovrebbe
poi traboccare in quella carità concreta e universale di
cui San Rocco è mirabile campione.
L’auspicio del Vescovo è che questo straordinario
incontro con questo Santo, non risulti semplicemente come ulteriore
dimostrazione esterna di culto, di devozione, di glorificazione,
ma si trasformi in un segno di imitazione, il che è come
tutti sappiamo, l'intento principale della Chiesa nel proporre
i santi alla nostra venerazione.
Benedico nel nome di San Rocco quanti ne zelano il culto imitandone
le virtù e in modo particolare i pellegrini presenti ed
i fedeli della comunità di Capriati a Volturno.
Isernia 12 Marzo 2004
Pellegrini verso il cielo
Gli “amici di san Rocco” mi chiedono, per il loro simpatico foglietto, qualche parola che possa giovare ai lettori. La scrivo volentieri.
Prendo lo spunto dall’aspetto più significativo evidenziato dalla iconografia del Santo: il pellegrinaggio. San Rocco infatti è presentato col bastone di viandante in mano, e sappiamo che impiegò la sua vita a percorrere città e contrade facendo del bene, assistito anche da una particolare grazia divina che lo rese e lo rende taumaturgo. Parliamo dunque del nostro pellegrinaggio, certo non in senso fisico ma in senso spirituale. Dobbiamo esserne convinti, siamo pellegrini, ossia in cammino verso una meta che ci attende e che non può essere quella in cui abitiamo quaggiù fino al momento della nostra morte.
Dice san Paolo: “… Siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione” (2Cor 5, 6-7). Il testo latino appare più incisivo rispetto a quella che chiamiamo la nostra condizione di pellegrini, “Peregrinamur a Domino” che si potrebbe tradurre meglio così: “siamo lontani dal Signore e perciò siamo pellegrini verso di lui”.
Che la nostra meta definitiva sia la vita eterna è indiscutibile per un credente. C’è purtroppo la possibile alternativa di una eternità beata opposta ad una eternità di condanna. Il primo dovere dunque di chi sa di essere pellegrino, è la precisa determinazione della meta a cui vuole dirigersi. Solo dopo questa determinazione, condizionatrice delle nostre scelte anche minute, potremo porre gli atti necessari al conseguimento della meta prefissata, per noi la dimora eterna con Dio. Sarà nostro compito allora – e per questo ci soccorre l’esempio dei Santi – prendere il cammino giusto ed appropriato, quello che nel nostro caso ci viene indicato dalla santa Legge di Dio, dal Vangelo, dalla divina Parola che quotidianamente è messa a nostra disposizione.
Un altro aspetto del pellegrinaggio, dopo aver ben determinata la meta, è quello di evitare soste inutili che, quanto meno, possono ritardare il nostro avvicinamento alla meta. Ciò non significa certamente affrettarsi verso l’epilogo della vita terrena; significa invece crescere in quella alacrità spirituale, appunto in quel “cammino” in cui consiste il costante progresso nella virtù, in ogni virtù. Anche qui si può ripetere ciò che disse un tale,“Chi si ferma è perduto”: non possiamo fermarci alla fruizione dei beni terreni che sappiamo di dover lasciare. Non possiamo fermarci nel progresso che deve finire solamente col nostro approdo alla eternità. Non possiamo fermarci a costruirci inutili dimore terrene, pensando di accrescere la nostra felicità. Non possiamo fermarci nel compiere il bene secondo la vocazione e lo stato di ciascuno.
Siamo pellegrini verso il Signore: conoscerne la sovrana maestà, la divina bellezza, con la meditazione e la preghiera, vorrà dire alimentare quotidianamente in noi l’aspirazione alle cose celesti. Ce lo fa chiedere anche la liturgia: “Signore, fa che tra le vicissitudini del mondo là siano fissi i nostri cuori dove sono le vere gioie”. Un pellegrino che, dimenticando la sua meta, si fermasse in qualche punto del suo cammino per costruirsi una casa, sarebbe giudicato uno sprovveduto. Tale è il cristiano che si comporta nel mondo terreno come se dovesse rimanervi per sempre.
Problema importante del pellegrino è la “sàrcina”, ossia il bagaglio da portarsi dietro. Orbene, per il pellegrinaggio verso il cielo questo bagaglio può essere composto unicamente di “buone opere”. Il resto è materiale che dovrebbe essere provvisto unicamente nella misura del bisogno temporaneo che ne abbiamo per la vita terrena, breve o lunga che sia. Che significato ha pertanto alimentare quella incoercibile e insaziabile fame di avere, che connota anche alcuni che continuano a proclamarsi cristiani? Il pellegrino meno pesi ha da trasportare con sé, più spedito sarà il suo cammino.
Inutili pesi che ci trasciniamo dietro – possessi, danaro, privilegi, onori, amicizie – possono rallentare il nostro pellegrinaggio, possono addirittura farci perdere di vista la meta prefissata: sarebbe una vera iattura.
Del resto anche i più saggi tra i pagani, ad esempio gli stoici e i cinici, hanno compreso questa elementare verità: essere inutile e dannoso accumulare quei beni materiali che un giorno saremo costretti a lasciare. L’unica preoccupazione, dunque, per noi pellegrini verso il cielo, deve essere quella di “accumulare tesori per il cielo” come ci ha detto Gesù (cf Mt 6, 19-20). Questi tesori – dobbiamo saperlo – non coincidono affatto con quei beni di cui tanti nostri fratelli sembrano essere insaziabilmente avidi, per conseguire i quali trascurano purtroppo la ricerca dei beni soprannaturali. Non dovrebbe essere così per noi.
Quando la divina Provvidenza ci assicura l’onesto sostentamento, dovremmo accontentarci e ringraziarla, senza andare in cerca, talvolta in maniera sregolata, di quel superfluo che è la palla al piede da cui il nostro cammino verso la meta non può che essere miseramente rallentato.
San Rocco ci insegni ad essere santamente saggi, e si faccia nostro compagno nel pellegrinaggio verso la meta celeste.
Andrea Gemma Vescovo